E' risaputo che gli alimenti crudi,
nella quasi totalità dei casi, sono migliori di quelli cotti;
sicuramente la nostra fisiologia, quando è stata progettata, non
prevedeva un'alimentazione "artificiosa" come quella
odierna, ma un'alimentazione più "naturale" simile a
quella di tutti gli altri animali del globo.
Ciò nondimeno, le nostre abitudini, l'apertura del nostro panorama alimentare a cibi quali legumi, cereali e derivati animali, la necessità di adattamento (ad habitat inospitali principalmente), oltre all'accostarsi dell'arte alla pratica culinaria, hanno fatto si che sia ormai, concettualmente, "normale" alimentarsi di cibi cotti ed elaborati. Esaltando i cibi crudi, senza demonizzare quelli cotti, quali accorgimenti possiamo utilizzare per migliorare il nostro apporto nutrizionale e la nostra "efficienza alimentare"?
Ciò nondimeno, le nostre abitudini, l'apertura del nostro panorama alimentare a cibi quali legumi, cereali e derivati animali, la necessità di adattamento (ad habitat inospitali principalmente), oltre all'accostarsi dell'arte alla pratica culinaria, hanno fatto si che sia ormai, concettualmente, "normale" alimentarsi di cibi cotti ed elaborati. Esaltando i cibi crudi, senza demonizzare quelli cotti, quali accorgimenti possiamo utilizzare per migliorare il nostro apporto nutrizionale e la nostra "efficienza alimentare"?
Per cominciare, analizziamo cosa si
perde nel processo di cottura del cibo: qualunque metodo di cottura,
per blando che sia, in primis ha un effetto devastante sugli ENZIMI
degli alimenti, che sono principalmente adibiti alla digestione degli
stessi (si perdono intorno ai 50°C ); va da se quindi che,
eliminando gli enzimi che digeriscono quell'alimento, automaticamente
il nostro organismo dovrà impegnarsi maggiormente per riprodurre al
suo interno la stessa funzione senza la loro introduzione (che invece
avverrebbe col cibo crudo).
Le PROTEINE intorno ai 60° C si
trasformano (denaturazione delle proteine), perdendo la loro forma
originaria, il che significa perdere la loro funzione biologica
(inattiva gli enzimi) e diventare però più sensibili agli enzimi
digestivi; in tal modo acquisiscono una maggiore digeribilità,
tuttavia una cottura prolungata a temperature superiori finisce con
l'ottenere l'effetto contrario, ovvero genera degli agglomerati
indigestibili per l'organismo.
I LIPIDI con la cottura e l'ossigeno dell'aria si possono scindere in acidi grassi e glicerina, che in parte si trasforma in acroleina, una sostanza altamente tossica (questo processo avviene al raggiungimento del "punto di fumo"), il grasso col miglior punto di fumo è l'olio EVO; questo processo inficia anche la vitamine liposolubili (vitamina A, vitamina D, vitamina E, vitamina K, vitamina "F" o acidi grassi essenziali (AGE)).
I LIPIDI con la cottura e l'ossigeno dell'aria si possono scindere in acidi grassi e glicerina, che in parte si trasforma in acroleina, una sostanza altamente tossica (questo processo avviene al raggiungimento del "punto di fumo"), il grasso col miglior punto di fumo è l'olio EVO; questo processo inficia anche la vitamine liposolubili (vitamina A, vitamina D, vitamina E, vitamina K, vitamina "F" o acidi grassi essenziali (AGE)).
I CARBOIDRATI reagiscono in maniere
diverse; gli amidi con la cottura ad alte temperature si dividono in
molecole più piccole, dette destrine, più facilmente digeribili, ma
sviluppano così più facilmente sostanze tossiche e cancerogene come
l'acrilamide; se cotti in acqua, invece, si legano a quest'ultima
sviluppando un composto colloso che si può contrastare aggiungendo
degli acidi, come il succo di limone o l'aceto. Gli zuccheri semplici
riescono a mantenere buona parte delle loro caratteristiche a meno
che non vengano cotti a secco, nel qual caso rischiano il processo di
caramellizazione che porta con se gli stessi svantaggi degli amidi
cotti a secco. Purtroppo i buoni profumi dei prodotti da forno sono
accompagnati dal maggior rischio di rilascio di sostanze tossiche.
Le VITAMINE sono tra gli elementi che
patiscono maggiormente la cottura, subendo una perdita che può
facilmente superare il 50% del loro quantitativo originale, questo
vale soprattutto per le vitamine termolabili ed idrosolubili; le
vitamine liposolubili sono infatti più resistenti al calore, ma
questo non significa che riescano a passare in maniera indolore il
processo di cottura, soprattutto se ad elevate temperature e
prolungato nel tempo. Le vitamine sono inoltre spesso sensibili nei
confronti dell'ossigeno e della luce, così come lo sono nei
confronti di sostanze acidificanti o alcalinizzanti. Quelle
idrosolubili, infine, oltre alle problematiche generiche, patiscono
molto la cottura a contatto con l'acqua, perchè vi si disciolgono
impoverendosi ulteriormente; in particolare la vitamina C e la
vitamina B1 sono le più instabili, ma anche la B9 (acido folico) è
molto sensibile alla cottura, al contrario B2, B6 e B12 sono
maggiormente resistenti.
Per esempio, la quantità di vitamina C
ad una temperatura di 100 gradi si dimezza nel giro di un solo minuto
(il tempo raddoppia ad una temperatura di circa 70°), difatti un
metodo spesso utilizzato per cercare di reintegrare questa perdita
dopo la cottura è quello di condire con del succo di limone.
Un'altro accorgimento utile è quello di cuocere i cibi integri,
ovvero di non sbucciarli o sminuzzarli prima ma dopo la cottura, così
facendo la "buccia" agisce in qualche modo da scudo.
I SALI MINERALI non vengono danneggiati
dalla cottura, ma sono molto sensibili al discioglimento nei liquidi;
per ovviare a questo problema è meglio cuocere con poca acqua o
riutilizzare l'acqua di cottura, oltre allo stratagemma adottato
anche con le vitamine di mantenere la buccia integra. Anche se la
perdita di minerali è minima, il processo di cottura può variarne
la biodisponibilità per il nostro organismo, ottenendo così una
perdita nutrizionale intrinseca.
Adesso che abbiamo scoperto gli effetti
che la cottura ha sui nutrienti, nel prossimo articolo andremo a
vedere i casi specifici dove la cottura ha un suo ruolo funzionale e
le metodologie attraverso le quali "limitare" i danni,
oltre alla problematica della leucocitosi digestiva.
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