sabato 31 gennaio 2015

I BENEFICI DEI SEMI 2: LA FRUTTA SECCA

Dopo aver trattato i semi più simili al nostro immaginario di tale elemento, andiamo e vedere quella che comunemente viene chiamata frutta secca, ma che in realtà altro non è se non semi di fattezze differenti. In questa categoria troviamo: mandorle, noci, pistacchi, nocciole, pinoli, arachidi ed anacardi; sono ricchi di grassi insaturi (più salutari, omega 3 ed omega 6 in primis) e presentano un alto valore calorico, per cui è consigliabile assumerne con criterio (ogni 100 g contano circa 600 calorie, quindi meglio non mangiarle a completamento di un lauto pasto). Sono ricchissimi di sali minerali e vitamine, nonchè di proteine, ragion per cui vengono spesso consigliati a chi fa intensa attività fisica. Infine, sono ricchi di fitoestrogeni e fitosteroli, che aiutano reciprocamente ad affrontare mestruazioni e menopausa i primi e colesterolo i secondi. Facilita il transito intestinale, utile contro la stipsi e aiuta il fegato riducendo le infiammazioni.
Andiamo ora ad elencare col le rispettive proprietà questi gustosi alimenti.
Mandorle: sono ricche di proteine e di fibre, grazie alle quali vantano proprietà lassative; sono anche ricche di vitamine (soprattutto B2 ed E) e numerosi sali minerali (manganese, magnesio, rame, potassio, calcio e fosforo, in particolare sono i frutti secchi con la maggior quantità di questi ultimi due). Per le loro proprietà energetiche vengono spesso consigliate agli sportivi, ma anche in caso di forte stress mentale. Grazie alla presenza dei grassi insaturi, uniti alla vitamina E, attenua i rischi di patologie cardiocircolatorie.
Noci: sono le più ricche di grassi insaturi "buoni", e questo le rende il seme più calorico tra la frutta secca; troviamo una buona concentrazione proteica (con la presenza dell'arginina, utile per la prevenzione dell'alteriosclerosi), quantità rilevanti di minerali (fosforo, potassio, zolfo, rame, calcio, ferro, zinco, magnesio) e di vitamine (B1, B2, B6, E). Le loro proprietà nutrizionali le fanno consigliare per ridurre il rischio di colesterolo e malattie cardiocircolatorie, nonchè per prevenire malattie dovute alla carenza di zinco e forme tumorali.
Pistacchi: sono ricchi di vitamine (A, B1, B2, B3, B5, B6, C ed E), contano la maggior concentrazione tra la frutta secca in quanto a contenuto di ferro e potassio, ma sono anche ben forniti di calcio, fosforo, manganese e rame. Come gli altri, contano un ottimo apporto di grassi insaturi omega e di proteine, oltre ad altre utili sostanze tra cui spiccano gli isoflavoni, dalle proprietà antitumorali; grazie a questo spettro di nutrienti, i pistacchi sono indicati, oltre che per le patologie cardiovascolari ed il diabete, anche per prevenire il rischio di contrarre il cancro.
Pinoli: sono i più ricchi di proteine, ma presentano una concentrazione inferiore (benchè comunque presente) di minerali, quali manganese, magnesio, ferro, calcio, potassio, fosforo, zinco e sodio; contengono provitamina A, vitamina E, C, J, K e vitamine del gruppo B e una buona quantità di fibre. Sono consigliati come integratore energetico contro lo stress sia fisico che mentale, ma con un occhio ai quantitativi, data l'elevata concentrazione calorica.
Anacardi: contengono un’alta percentuale di acidi grassi insaturi, vitamine A, C, K, E e vitamine del gruppo B e proantocianidine, sostanze antitumorali; hanno buone quantità di rame e magnesio, oltre a calcio, fosforo, potassio, ferro, zinco e selenio. Proteggono, oltre al sistema cardiocircolatorio, il sistema oculare, e aiutano a contrastare gli effetti del diabete, del colesterolo, dell'osteoporosi e delle forme cancerose (soprattutto del cancro al colon).
Arachidi: sono... leguminose! Le classifichiamo comunemente come frutta secca ma in realtà sono sorelle di piselli, lenticchie e ceci; ricche di proteine quasi quanto i pinoli, presentano un'elevata concentrazione di fibre e di antiossidanti, come il resveratrolo. Vantano ottime concentrazioni di sali minerali (ferro, zinco, potassio, fosforo, magnesio, manganese, rame) e di vitamine del gruppo B, con presenza anche di vitamina E e PP; inoltre presentano un alto contenuto di arginina ed acido folico, insieme al coenzima Q10, utile per tutto l'organismo. Sono consigliate per contrastare gli effetti dell'invecchiamento e per energizzare l'organismo; i loro nutrienti aiutano a prevenire tumori, malattie cardiovascolari e malattie del sistema nervoso, aiutando anche nel trattamento delle emicranie.
Nocciole: sono ricche di vitamine, a partire da quelle del gruppo B (B1, B2, B3, B5, B6), vitamina C, K, J ma, soprattutto, di vitamina E; presentano diversi sali minerali (calcio, fosforo, potassio, manganese, rame, selenio, zinco, ferro e magnesio), ricche anche dei "soliti" grassi insaturi e con un apporto calorico elevato quasi quanto quello delle noci, che le rende molto energetiche. Grazie al connubio di vitamine C ed E, unito agli antiossidanti, forniscono un valido aiuto per contrastare l'invecchiamento e rinforzare l'organismo.



giovedì 29 gennaio 2015

CHICCHI RICCHI: I BENEFICI DEI SEMI

I semi sono presenti nella nostra alimentazione da tempo, conosciuti in parte sotto il nome di "frutta secca", ed i loro benefici sono ormai ampiamente riconosciuti; oltre a quelli che comunemente mangiamo (noci, nocciole, pistacchi, mandorle...), ve ne sono di meno rinomati, più simili alla nostra concezione di sementi, che altresì apportano notevoli proprietà benefiche al nostro organismo, soprattutto perchè, a differenza degli altri, non subiscono il dannoso processo di tostatura. In virtù del fatto di essere consumati crudi, forniscono un'ottima quantità di nutrienti come vitamine, minerali, proteine ed enzimi, sono ricchi di fibre e grassi salutari. La maniera più comune di consumarli è aggiungendoli alle insalate, ma si abbinano bene anche ai cereali ed alla pasta; in ogni caso, è consigliabile, come avviene anche per i germogli, non esagerare con questo "super-food", e conservarlo in maniera adeguata (in assenza di umidità). Andiamo ora ad analizzarli individualmente per scoprirne i pregi specifici.
SEMI DI SESAMO: sono tra i più conosciuti ed utilizzati, facilmente digeribili e molto nutrienti, sono ricchi di minerali, proteine e grassi insaturi (omega 3 ed omega 6). Per andare maggiormente nel dettaglio sul loro apporto minerario, forniscono: ferro, fosforo, magnesio, selenio, potassio, zinco, rame e calcio; grazie alla loro ricchezza in tal senso, sono molto utili per l'apparato scheletrico (quindi prevengono l'osteoporosi), per l'apparato cardiocircolatorio (che beneficia inoltre degli acidi grassi omega) e per il sistema immunitario (che beneficia del contenuto di zinco e rame). Sono inoltre una ricca fonte di vitamine del gruppo B. Sono l'ingrediente principale del Gomasio, che è un insaporitore giapponese utilizzato al posto del sale, utile per ridurne il consumo (in questo prodotto tuttavia i semi sono tostati).
SEMI DI LINO: sono rinomati soprattutto per l'olio, ma i semi, benchè difficilmente consumabili allo stato naturale (il loro duro rivestimento è di difficile digestione), sono ricchissimi di proprietà utili al nostro organismo; possiedono un alto contenuto di minerali (soprattutto fosforo, rame, magnesio e manganese), circa il 20% di proteine, una massiccia dose di acidi grassi polinsaturi (omega 3 ed omega 6) e diverse sostanze utili quali i lignani e la mucillagine. Per usufruirne è quindi preferibile triturarli, avendo cura di bere adeguatamente vista la loro proprietà di assorbire acqua sino a 6 volte il loro peso. Sono molto utili per contrastare la stipsi e le coliti, grazie al ricco contenuto di fibre e mucillagini, funzionali anche per i disturbi intestinali; il loro altissimo contenuto in lignani inoltre aiuta nella prevenzione del cancro, nella riduzione della placca arteriosclerotica e nella stabilizzazione dei livelli ormonali nelle sindromi premestruali e nella menopausa (sono fitoestrogeni). Per quest'ultimo motivo se ne sconsiglia il consumo alle donne incinte o che allattano, in quanto vi sono pareri discordanti sugli esiti nel bambino. In ultimo, grazie ,oltre che ai lignani, agli acidi grassi, aiutano il sistema cardiocircolatorio e prevengono le malattie cardiache. Un loro utilizzo utile in cucina è quello di sostituirli all'uovo come addensante unendo il trito ad un pò di acqua.SEMI DI CHIA: sono tra i cibi più salutari al mondo, ricchissimi di vitamine e minerali, fonte di proteine ed antiossidanti e tra i primi come quantità di acidi grassi omega 3; col loro consumo si possono lenire e migliorare moltissime patologie, soprattutto cardiopatie, diabete ed obesità. La sostanziosa presenza di mucillagini fa si che questi semi siano fortemente idrofili, assorbendo acqua sino ed oltre 12 volte il loro peso; questo favorisce il transito intestinale, contrastando la stitichezza, e non solo, data la commistione di questa caratteristica con la loro capacità depurativa, in questo transito raccolgono anche le tossine da eliminare. La gelificazione dovuta a queste mucillagini è inoltre molto utile per contrastare il diabete, in quanto il gel risultante, nello stomaco, rallenta la scomposizione dei carboidrati in zuccheri, evitando eventuali picchi glicemici; questo processo induce inoltre un maggiore senso di sazietà, prolungandolo, aiutando quindi nella perdita di peso. Sono ricchi di calcio, ferro, magnesio e potassio, aiutano ad abbassare il colesterolo e prevengono l'invecchiamento cellulare, grazie all'alto contenuto di antiossidanti.
SEMI DI ZUCCA: sono ricchissimi di elementi nutritivi, in particolare di magnesio, grazie al quale sono utilissimi per il nostro organismo (vedi il post precedente sulle proprietà del magnesio); inoltre presentano un basso contenuto di grassi saturi e di zuccheri, quindi sono indicati anche per fare degli spuntini durante la giornata. Oltre al sopracitato minerale, contengono buone quantità di magnesio, rame e zinco, sono inoltre ricchi di proteine, vitamina E, acido linoleico e di fitosteroli, sostanza utile ad abbassare il colesterolo. Sono inoltre ricchi di triptofano, precursore della serotonina, che favorisce un buon riposo al nostro corpo; infine, pare abbiano degli effetti antinfiammatori, per i quali sono stati utilizzati sin da tempi più antichi.
SEMI DI PAPAVERO: sono ricchi di manganese, calcio, grassi omega 6 e vitamina E; grazie a questo sono un valido aiuto per la salute dell'apparato scheletrico e per contrastare l'azione dei radicali liberi. Possiedono inoltre, come i semi di zucca, fitosteroli (utili per il colesterolo).
Grazie al loro blando effetto sedativo e calmante sono impegati come rimedio naturale verso ansia e stress, in aiuto al sistema nervoso centrale.
SEMI DI GIRASOLE: sono ricchi di vitamine A, D, E e di quelle del gruppo B (compresa la B12); sono ricchi di minerali (magnesio, ferro, zinco, manganese, potassio, calcio, rame e cobalto), grassi buoni e proteine. Tra i semi oleosi sono quelli col minor contenuto calorico.
Aiutano ad evitare l'insorgere di patologie cardiovascolari, regolano il colesterolo, sono ricchissimi di antiossidanti e grazie all'alto contenuto di B12 aiutano il sistema nervoso.
SEMI DI CANAPA: sono ricchi di vitamina E, di calcio, magnesio e potassio, tuttavia la loro caratteristica peculiare è quella di avere non solo una ottima dose di proteine, ma di possedere tutti gli amminoacidi essenziali contemporaneamente! Questo gli consente di essere considerati alimenti proteici completi, con i vantaggi del caso. Come gli altri semi, sono anch'essi ricchi di grassi polinsaturi buoni omega 3 ed omega 6, nella loro proporzione reciproca ottimale. Grazie alla loro presenza sono molto utili per contrastare e prevenire i disturbi di natura cardiovascolare e non solo, anche artriti, colesterolo e malattie respiratorie.



martedì 27 gennaio 2015

CARNEINOMANI, SOLO ABITUDINE O... DIPENDENZA?

Succede spesso che le persone abituate a mangiare significative quantità di carne, nel momento in cui venga meno questo apporto, si sentano deboli e spossate; sappiamo che questo principio è spesso dovuto al processo di disintossicazione che ne accompagna l'eliminazione dalla dieta, ma in parte è anche dovuto al fatto che la carne sviluppa una vera e propria forma di dipendenza, grazie ad alcune sostanze stimolanti, in particolare alcune purine quali l'ipoxantina, l'acido inosinico e l'acido guanilico. Queste sostanze derivano dalla degradazione degli acidi nucleici ed hanno una struttura chimica del tutto simile a quella di elementi che comunemente creano una qual sorta di dipendenza, in quanto stimolanti del sistema nervoso centrale, come la teofillina del tè, la teobromina del cacao e la caffeina contenuta nel caffè e nel tè. E' risaputo che tali sostanze infatti producono una sensazione di vitalità ed energia immediata (anche se spesso solo apparente), e che, se ingeriti abitualmente, danno vita a spossatezza o malumore in caso di mancata assunzione. La base purinica ipoxantina è inoltre precorritrice dell'acido urico, che abbiamo visto risultare dannoso per il nostro organismo (i quantitativi derivati dal consumo di carne sono troppo elevati); anche alcuni vegetali presentano contenuti significativi di purine, come spinaci, cavolfiori e legumi, tuttavia queste appaiono molto meno dannose rispetto a quelle derivanti dagli alimenti animali (probabilmente per la presenza di molti altri principi nutrizionali nelle verdure, che ne attenuano gli eventuali effetti negativi).
Molte persone sono quindi Carneinomani senza saperlo, dipendenti da questo alimento che spesso si somma ai grassi ed al sale, che come abbiamo visto creano a loro volta dipendenza, confezionando un prodotto con un ascendente psicofisico notevole, ma un impatto salutistico, etico ed ambientale di gran lunga maggiore.


venerdì 23 gennaio 2015

SATURI DI GRASSI.... FIN DENTRO LE ARTERIE!

Dopo lo zucchero ed il sale, ecco la terza "droga" della nostra alimentazione, che crea dipendenza al pari delle altre e, come queste, contribuisce alla degenerazione del nostro stato di salute, portando obesità, diabete, malattie cardiovascolari e cancro.
L'assunzione di grassi pare scatenare la produzione di endocannabinoidi all'interno del nostro intestino, a detta degli esperti, che generano non solo dipendenza ma aumentano la voglia di mangiare ancora, stimolando l'appetito e facendocene desiderare sempre di più; i cibi grassi, infatti, interferiscono con il meccanismo fame-sazietà tra stomaco e cervello, dando vita a questa reazione. Inoltre, annche in questo caso, come avviene per lo zucchero, si attiva un meccanismo di gratificazione legato alla loro assunzione, che può dare vita a vere e proprie "crisi di astinenza", con annessi rischi di ricadute ancor peggiori (è il caso del famoso effetto yo-yo legato alla perdita di peso).
In questo testo non tratterò i grassi idrogenati, cui riserverò un articolo a parte; dobbiamo quindi distinguere tra i due tipi di acidi grassi naturali presenti negli alimenti: saturi ed insaturi. Per spiegare brevemente la differenza chimica tra i grassi saturi e quelli insaturi, basti sapere che quelli saturi sono incapaci di creare legami con altre molecole, mentre quelli insaturi presentano uno o più doppi legami che gli permettono di essere maggiormente digeribili dal nostro organismo, tra questi troviamo i celebri omega 3, 6 e 9; inoltre, i grassi saturi generalmente hanno una maggior resistenza alla temperatura ed all'ossidazione, proprio per questa loro maggiore compattezza.
I primi si trovano soprattutto negli alimenti di origine animale (ed in percentuali maggiori), mentre i secondi si trovano sia nei vegetali che non; al nostro corpo, in quantità minime, sono utili entrambi (ad esempio, organi come il cuore ed i reni sono ricoperti da uno strato di grasso di protezione), ma la bilancia pende fortemente verso quelli insaturi, che risultano meno dannosi per il nostro organismo rispetto agli altri. Un eccesso di quelli saturi, infatti, contribuisce all'aumento dei livelli di colesterolo cattivo (LDL) e diminuisce il senso di sazietà (per il meccanismo che abbiamo visto prima di interferenza delle trasmissioni tra stomaco e cervello), aumentando il rischio di obesità e quello di patologie quali ictus e infarto, poichè determina la formazione delle placche lipidiche a livello delle coronarie e dei vasi cerebrali. E' inoltre comprovato che attraverso l'esubero di grassi saturi aumenti l'incidenza di tumori al colon, al retto e all'intestino. Con questo non si vuole necessariamente dicotomizzare i grassi in buoni e cattivi, semplicemente nel limitarne l'assunzione in generale, meglio utilizzare qualche accorgimento in più per limitare ulteriormente in percentuale tra i due quelli saturi. E' utile infine usare un accorgimento nel consumo di quelli insaturi, combinandoli alla vitamina E, in quanto coadiuvante al loro mantenimento (i grassi insaturi si ossidano più facilmente, e la vitamina E contrasta il processo di ossidazione).


martedì 20 gennaio 2015

TROPPO SALE?

Dopo aver trattato lo zucchero, andiamo ad analizzare il secondo dei 3 principali componenti dei cosiddetti "Junk-food", forse il primo per presenza e dipendenza causata: il SALE. Sono 3 infatti le "droghe" che il nostro corpo non trova in natura (isolate) e che ci creano una qual sorta di dipendenza; il sale, lo zucchero e i grassi.
Per non incorrere nei vari problemi correlati all'abuso di sale, si raccomanda di utilizzarne al massimo 5 grammi al giorno, all'incirca un cucchiaio, ma il consumo per quanto concerne l'Italia è quasi il doppio (9 gr in media); queste indicazioni sono atte a contenere l'apporto di sodio nel nostro corpo, in quanto la dose massima consigliata equivale a quella assunta tramite 5-6 grammi di sale. Bisogna tenere conto, tuttavia, del fatto che il sodio è naturalmente presente nel cibo, quindi una dose "entro i limiti" di sale non significa necessariamente evitarne l'esubero. Proprio in virtù di questo è necessario prestare particolare attenzione al consumo di questo elemento, sostituendolo il più possibile con insaporitori naturali, quali spezie, ortaggi e semi; si è constatato infatti che al palato servono 1-2 settimane per abituarsi ad una riduzione del sale nei cibi, quindi resistendo per tale periodo ne gioverà non solo la nostra salute ma anche il nostro gusto.
Andiamo ad analizzare nello specifico i potenziali danni derivanti da un'assunzione eccessiva del sale:
Ipertensione, è appurato che il sodio in eccesso ristagni nelle vene, facendone aumentare il volume ed incrementando il battito cardiaco (nel tentativo del corpo di portarlo via più velocemente), aumentando la pressione arteriosa, e di conseguenza la probabilità di eventi correlati (l'aumento della pressione provoca inspissimento delle pareti arteriose e ventricolari, aumentando il rischio di infarto); diversi studi mostrano che con la riduzione di sale sotto la soglia di 5 gr al giorno si è diminuito l'impatto di ictus e malattie cardiovascolari di una percentuale tra il 15 ed il 25%.
Osteoporosi, in quanto un eccesso di sodio stimola il rilascio di calcio dall'organismo.
Calcolosi e problematiche renali, è infatti attraverso i reni che eliminiamo la maggior parte del sodio introdotto, quindi se ne assumiamo una dose eccessiva questi ultimi vengono ulteriormente affaticati, aumentando il rischio che non riescano a svolgere al meglio il loro compito; in questa condizione, è più facile che si formino calcoli renali dovuti ai residui non eliminati.
Tumore allo stomaco e gastriti, il sale favorisce la formazione delle nitrosammine (cancerogene) nello stomaco e ne aumenta l'assorbimento da parte della mucosa gastrica, inoltre favorisce la formazione e lo sviluppo dell’Helicobacter pylori, associato anch'esso a tumore gastrico, oltre che gastrite e ulcera. Infine, un eccesso di sale rallenta i tempi di svuotamento dello stomaco, prolungando il contatto tra la mucosa e le eventuali sostanze cancerogene.
Malattie autoimmuni, diabete e sclerosi multipla, perchè pare che un eccesso di sodio sia legato ad un aggravarsi di queste condizioni.
Sembra infine che una dieta ricca di sale favorisca un declino mentale più rapido, aumentando la probabilità di contrarre il morbo di Alzheimer rispetto a chi ne fa un uso più parsimonioso.
In conclusione, passiamo in rassegna i diversi tipi di sale, che tanto vanno in voga ultimamente a livello commerciale; hanno tutti qualche caratteristica "pregiata", tuttavia, come tra lo zucchero bianco e quello integrale, le differenze corrisposte ai quantitativi ottimali sono trascurabili. Se questo non bastasse, molti di questi sali, in confronto a quello marino, sono correlati a metodi di estrazione estremamente dispendiosi e spesso poco etici; ecco ora i principali prodotti in vendita:
Il sale Rosa dell'Hymalaya, è considerato il sale più pregiato
, è una sale minerale ricco di oligoelementi buoni per il nostro organismo; inoltre non subisce le problematiche di inquinamento ambientale, risalendo a milioni di anni fa ed essendo rimasto intatto da allora.
Il sale Blu di Persia, un altro sale di origine minerale, dalla caratteristica tonalità blu (data dalla silvinite) e dal retrogusto leggermente speziato.
Il sale Rosso delle Hawaii, molto sapido, deve la sua colorazione alla maggior ricchezza di ferro.
Il sale Grigio di Bretagna, un sale marino che, grazie ad un particolare tipo di argilla presente a sud della Bretagna, acquisisce il colorito grigiastro e presenta una maggior ricchezza di sali minerali, unita ad una minor concentrazione di sodio.
Il sale Nero di Cipro, che deve il suo colorito all'arricchimento con carbone vegetale, donandogli un blando potere detossinante.
Il sale affumicato della Danimarca subisce un'attenta affumicatura, il chè lo rende particolarmente saporito.
Benchè la scelta migliore sia probabilmente quella, in presenza di una dieta equilibrata, di eliminare il sale, con i dovuti accorgimenti se ne può mantenere l'utilizzo limitandone i vari effetti collaterali.


domenica 18 gennaio 2015

BASTA UN POCO DI ZUCCHERO E LA PILLOLA VA GIU'...

E' uno dei pericoli alimentari più subdoli del nostro tempo, perchè viene infilato praticamente in ogni dove, legalmente, senza alcun riguardo per i suoi molteplici, ed ormai accertati, effetti collaterali; non si tratta di un nuovo tipo di droga, ma di un elemento che ne può fare le veci ed è presente in quantità nella nostra alimentazione sin dal passato, con un crescendo che ad oggi deve risultare preoccupante:
LO ZUCCHERO.
Il pericolo non viene solo da quello bianco tanto demonizzato, ma anche dal grezzo e dall'integrale, così come anche da dosi troppo elevate di qualsiasi altro dolcificante (anche il fruttosio se usato come dolcificante decontestualizzato o assunto in quantità troppo elevate può dar vita a reazioni simili nel nostro organismo; con la frutta cruda è quasi impossibile raggiungere questi effetti, ma gli amici frugivori converranno che quella odierna è "frutto" della selezione organolettica-economica umana, e quindi che sia lecito ipotizzare che l'abuso di alcuni frutti troppo dolci possa, in parte, veicolare l'incremento glicemico). Ovviamente, tra lo zucchero bianco, quello grezzo e quello integrale grezzo, la scelta migliore ricade sull'ultimo, ma con la consapevolezza che sia, semplicemente, il meno peggio; quello integrale ha infatti un apporto calorico inferiore ed una quantità di nutrienti superiore, per assumere i quali in dosi significative si dovrebbero però mangiare etti di prodotto, con le conseguenti ampie problematiche che andremo ad analizzare. Il problema è quindi che, nonostante l'integrale sia meglio di quello bianco, con un uso salutare dello stesso le differenze sono quasi inconsistenti a livello biologico, perchè sono altri gli elementi che devono nutrire il nostro organismo.
Innanzi tutto, bisogna essere consapevoli che lo zucchero è presente in una molteplicità di alimenti, soprattutto in quelli confezionati e nelle bevande (bibite, succhi di frutta industriali...); mangiando e/o bevendo di questi prodotti, non solo diventa facile sviluppare un surplus di zuccheri che vada ad incidere sul nostro stato di salute, ma è altresì facile che si crei una vera e propria dipendenza! Diversi studi mostrano infatti come l'abuso di zucchero porti all'aumento della secrezione di dopamina, un neurotrasmettitore collegato alla sensazione di "ricompensa" tipico dell'assunzione di sostanze stupefacenti; non solo, la privazione dal dolcificante, una volta sviluppatane la dipendenza, scatena le stesse reazioni proprie delle crisi di astinenza dalle droghe (non a caso l'alcol deriva dalla fermentazione degli zuccheri, ed i loro effetti nocivi sono stati più volte accomunati).
Nel dettaglio, le problematiche collegate ad un eccesso di zuccheri nella dieta sono: immunodeficienza; osteoporosi; malattie cardiocircolatorie; diabete; tumori; problemi al fegato sinanche demenza e disturbi psicofisici (ansia, stress, irritabilità). Tutte queste problematiche non sono naturalmente da imputarsi ad un consumo basso o molto moderato di dolcificante, tuttavia nell'alimentazione odierna superare questi "limiti" salubri è estremamente semplice e incappare in queste problematiche praticamente certo; non a caso si sente spesso parlare dello zucchero come di un killer silenzioso, poichè passa inosservato nella quasi totalità delle sue forme e provoca danni che si mostrano soprattutto sul lungo periodo.
Immunodeficienza: perchè influenza negativamente i globuli bianchi, rendendoli meno reattivi e prestanti nel contrastare eventuali infezioni o malattie.
Osteoporosi: perchè acidifica l'organismo, contrastando la deposizione minerale nell'osso e, quindi, decalcificandolo; questo processo agevola anche la formazione della carie.
Malattie cardiocircolatorie e disturbi al fegato: perchè agisce sul metabolismo, in particolare sul ciclo di Krebs, comportando un maggiore rischio di accumulo dei grassi, e quindi obesità; in queste condizioni affatica il fegato, stimolando la produzione di acido urico, e favorisce l'ipertensione. Obesità ed ipertensione incrementano il rischio di eventi quali infarti ed ictus; in tal senso, appare chiala la correlazione tra zuccheri e malattie cardiocircolatorie (questo non è l'unico fattore, però si ha una validità effettiva sulla sua correlazione).
Diabete: perchè non solo incrementa il rischio per chi ha già contratto tale patologia, ma aumenta le probabilità di diventarlo col tempo; il pancreas infatti reagisce allo zucchero secernendo insulina, dando vita nel breve periodo a crisi di ipoglicemia (superato il picco glicemico l'insulina abbassa di colpo gli zuccheri nel sangue), mentre nel lungo periodo il surplus di lavoro del pancreas (al quale nei casi di sovraffaticamento maggiore viene in aiuto l'adrenalina, a testimoniare il pericolo della situazione) può portare alla malattia.
Tumori: perchè recenti studia hanno constatato la correlazione tra l'incremento di zuccheri nel sangue e l'aumento di incidenza tumorale, sembrerebbe a causa dell'agevolazione che questo produce sui processi infiammatori.
Demenza e disturbi dell'umore: perchè pare che alti livelli di zucchero nel sangue invecchino il cervello precocemente, sino all'insorgere della demenza senile; in particolare, si è associato l'aumento del consumo di zuccheri con il restringimento dell'amigdala e dell'ippocampo, aree adibite alla memoria ed alle funzioni cognitive.
I dolcificanti artificiali, come l'aspartame ad esempio, sono dichiaratamente cancerogeni, ed inoltre recenti studi hanno messo in discussione la loro utilità in caso di diabete, in quanto provocherebbo alterazioni metaboliche in grado di procrastinare ma non evitare la comparsa dello stesso.
In conclusione, l'unica soluzione è quella di limitare al massimo l'assunzione di zuccheri lavorati, ed al contempo di non esagerare in maniera smisurata con gli altri; ci sono dolcificanti alternativi migliori dello zucchero, come lo sciroppo d'acero o d'agave, il malto e la stevia, ma anche in questo caso la parsimonia è un obbligo, benchè pare che l'ultima sia priva di qualsivoglia effetto collaterale.


venerdì 16 gennaio 2015

CICLI CIRCADIANI

E' ormai noto che il nostro corpo funziona seguendo un ciclo circadiano (dal latino circa diem, "intorno al giorno") regolato sia da fattori interni che da fattori esterni, nella fattispecie: dall'ipotalamo nel sistema nervoso centrale (interno), mentre nell'alternarsi del ciclo giorno-notte (quindi anche nelle variazioni di temperature annesse) e nelle abitudini individuali (esterni). La combinazione di questi fattori permette al nostro organismo di "regolare" il proprio orologio biologico, facendoci seguire cicli da 24 ore ma non solo; basti pensare che in assenza dell'alternarsi diurno-notturno, questo "orologio" tende ad allungarsi in cicli da 36 ore piuttosto delle canoniche 24 con le quali conviviamo giornalmente! Tale ciclo è importantissimo per il nostro organismo, perchè regola il funzionamento di tutto il sistema corpo, dalle secrezioni ormonali a quelle enzimatiche, sino ai periodi di assimilazione ed eliminazione; in tutto questo, ovviamente, la conoscenza di tali cicli risulta utile anche ai fini alimentari, in quanto vi sono determinate fasce orarie nelle quali il corpo è maggiormente predisposto all'assimilazione dei cibi.
Nello specifico la giornata si può dividere in 3 fasi fondamentali:
  • dalle 04 alle 12, fase di eliminazione e depurazione, nella quale sarebbe meglio evitare di assumere alimenti
  • dalle 12 alle 20, fase di appropriazione dei cibi, nella quale il corpo è predisposto per l'introduzione degli alimenti
  • dalle 20 alle 04, fase assimilativa, nella quale il corpo assorbe i cibi; se ci si alimenta in maniera leggera può terminare prima ed anticipare la fase di eliminazione e depurazione, per il beneficio depurativo dell'organismo.
Visto che per la maggior parte delle persone è molto difficile seguire un digiuno, sfruttare al massimo la fase depurativa della giornata, non mangiando dalle 20 sino alle 12 del giorno successivo, è una buona pratica per concedere al corpo un po' di riposo e relax.



mercoledì 14 gennaio 2015

LA CORRETTA ALIMENTAZIONE UMANA

Ci viene costantemente ripetuto che l'uomo è onnivoro, ma in base a quali motivazioni fisiologiche avvaloriamo questa teoria? E' una presa di posizione "socio-politica" o c'è realmente una motivazione biologica dietro questo assunto? Andando a confrontare la nostra fisiologia con quella degli altri animali, che si cibano in natura dei loro alimenti più specifici, possiamo cercare di comprendere meglio a quale categoria associarci. Alla fine di questa comparazione vi sarà evidente il nostro gruppo di appartenenza.




martedì 13 gennaio 2015

UN COLPO AL CUORE: LE UOVA

Le uova sono spesso elogiate per le loro proprietà nutrizionali, sminuendone gli aspetti negativi, ciònonostante ne viene consigliato un consumo moderato, al massimo 2 o 3 alla settimana; ora, se sono un alimento così valido, perchè si sente il bisogno di dar loro delle limitazioni?!?
Semplice, perchè non sono un alimento così salutare, anzi, presentano dei sicuri e comprovati svantaggi che ne impongono un'assunzione relativamente controllata; oltre alla problematica del colesterolo, unanimamente riconosciuta, possiamo arricchire la lista negativa con un eccesso di "proteine nobili", di cui ho parlato nel precedente articolo.
Benchè vi siano diverse dispute in merito alle reali colpe del colesterolo nell'accentuarsi ed aggravarsi delle patologie ad interesse cardiovascolare, è tuttavia comprovato che un consumo abituale di tuorlo d'uovo, ricco della suddetta sostanza, sia proporzionalmente concomitante all'incremento del rischio di contrarre tali malattie; diversi studi mostrano quanto la loro assunzione abbia un impatto su tali patologie, quasi quanto il fumo, coadiuvandone gli effetti ed accrescendoli in maniera esponenziale. Ad esempio, prendiamo la formazione della placca carotidea; questa aumenta autonomamente con l'avanzare dell'età, tuttavia un consumo abituale di uova incrementa questo fenomeno; anche volendo ipotizzare che, a differenza di quanto si è creduto sinora e su cui vi è un dibattito in atto, il colesterolo abbia un effetto trascurabile sulle patologie cardiovascolari, ciò non toglie che il consumo di uova, invece, lo abbia comprovato, come si è più e più volte riscontrato.
In ogni caso, tutti i consigli alimentari portano al tentativo di ridurre il colesterolo LDL (cattivo) e di aumentare quello HDL (buono), questo per evitare di incorrere nelle problematiche ad esso imputate, quali: angina (dolore al torace) , arteriosclerosi, infarto, ictus e trombosi in genere.
Nel dubbio si consiglia di fare attenzioneo evitare del tutto il consumo di uova per le persone col colesterolo alto, a rischio di delle malattie sopra citate o diabetiche; tutto questo perchè le uova sono un cibo bistrattato, o forse perchè, semplicemente, non si prestano bene alla nostra alimentazione.
Riallacciandoci all'articolo precedente, l'albume delle uova è ricco di "proteine nobili", mentre il tuorlo è ricchissimo di colesterolo; ho già accennato alle problematiche delle proteine di origine animale, così come ho accennato a quelle inerenti i quantitativi da noi considerati "normali", che spesso si traducono in numeri eccessivi, che ottengono quindi il risultato di appesantire il nostro organismo, in particolare il fegato. Checchè se ne dica, il consumo di uova, così come quello di tutti gli alimenti di origine animale, provoca una reazione tossica nel nostro organismo che stimola e incrementa l'attività degli organi adibiti alla depurazione, soprattutto del fegato.
Si presume che le condizioni igieniche attuali prevengano dalla contrazione della salmonella, tuttavia non è così raro che qualche derivato avariato (maionesi e creme, ad esempio) lo veicoli sino all'uomo.
In conclusione, possiamo affermare che i pregi delle uova, così come per tutti gli alimenti non vegetali, sono in numero inferiore rispetto ai difetti, almeno per quanto riguarda il nostro organismo, motivo per il quale dovremmo evitare di consumarli il più possibile, quando non in toto.


domenica 11 gennaio 2015

IL MEDIOEVO ALIMENTARE: IL MITO DELLE PROTEINE NOBILI

Con la classificazione di proteine nobili, si è voluto veicolare in maniera tendenziosa ed arcaica una peculiarità delle proteine animali, rendendole "altolocate" rispetto a tutte le altre; questa definizione non è solo completamente fuorviante, ma degna dell'oscurantismo medioevale.
Spieghiamo brevemente da cosa deriva questo arbitrario superclassamento delle proteine animali; degli aminoacidi esistenti, circa una ventina intervengono nella nostra sintesi proteica, una decina dei quali sono considerati aminoacidi essenziali, perchè il nostro corpo non è in grado di sintetizzarli autonomamente (gli aminoacidi sono dibattuti tra 21-23 e gli essenziali tra 8-10, per dire la certezza assoluta con cui ci avviciniamo a queste argomentazioni). Le proteine di origine animale possiedono al loro interno tutti gli aminoacidi essenziali contemporaneamente, a differenza della quasi totalità degli alimenti vegetali (la soia ad esempio li ha tutti anch'essa). Gli alimenti vegetali sono quindi stati intrinsecamente relegati a fornitori di proteine "plebee" in virtù del fatto che non posseggono contemporaneamente tutti gli aminoacidi essenziali, ma sono quindi privi di alcuni di essi? Certo che no, gli alimenti vegetali sono perfettamente in grado di fornire tutti gli aminoacidi necessari al nostro corpo, semplicemente non sono concentrati tutti in un unico alimento ma sono divise tra i vari frutti, verdure, cereali e legumi; una dieta variata fornisce al nostro organismo tutta la quantità, reale o presunta tale, di proteine necessarie. Seguendo il ragionamento delle proteine nobili, nella nostra alimentazione dovremmo classificare anche le "proteine regali", ovvero quelle della carne umana, perchè essendo la carne più simile alla nostra presenta la composizione aminoacida ottimale per il nostro organismo (questa provocazione è stata ripresa da più esperti in materia)!
In tutte queste considerazioni stiamo, ed è storicamente stato (lo prova il nome altisonante), tralasciando tutta una serie di altre condizioni riguardanti il nostro organismo: le proteine non sono elementi stagni, ma interagiscono oltre che tra loro, con vitamine e minerali, elementi di cui i vegetali, ancor maggiormente se crudi, sono ricchissimi; le proteine vegetali sono molto meno acidificanti di quelle animali, mobilitando un minor quantitativo di sali minerali, che andrebbero a discapito della nostra bilancia nutrizionale ed infine, le proteine di origine animale sono associate agli alimenti di origine animale, ricchissimi di colesterolo e grassi saturi.
In parole povere, se ragionassimo in maniera olistica sulle proteine, la medaglia sarebbe inesorabilmente rovesciata, rendendo le proteine vegetali "proteine pulite" e quelle animali "proteine inquinanti", in quanto la loro dubbia vantaggiosità si scontrerebbe contro la certa dannosità.
E' importante infine ricordare che il fabbisogno proteico tanto decantato è frutto anch'esso di considerazioni arbitrarie, che si sono via via alleggerite nel tempo, segnalando che l'alimento più prestante a livello accrescitivo del corpo umano (il latte materno che trasforma il lattante in bambino), ha una concentrazione proteica dall'uno al due percento, guardacaso la stessa quantità presente in frutta e verdura (il chè dovrebbe dare un piccolo input sulla fisiologia frugivora dell'uomo).

Nel linguaggio comune la parola "mito" indica qualcosa di favoloso o di irraggiungibile, che viene in qualche modo amplificato e allontanato dal reale; per l'appunto il "mito" delle proteine nobili, elevate oltre i propri meriti per evidenti interessi manifesti, così chiari da riuscire a nascondersi dietro comode falsità.


sabato 10 gennaio 2015

SPAGHETTI ALLA CRUDAIOLA

Una sfiziosissima spaghettata piena di nutrienti, adatta anche per crudisti e fruttariani!

-Ingredienti per 4 persone-

- 8 zucchini medi
- 2 tazze di pomodori ciliegino
- 1 tazza di olive taggiasche
- 1 filo d'olio
- sale q.b.

Procedimento

1)Lavate bene e a tagliate a fili sottili le zucchine, se non avete lo strumento adatto potete usare, ad esempio, il pelapatate per farle simil-tagliatelle.
2)Mettete a marinare per un'oretta gli spaghetti con del limone e del sale (non è indispensabile ma più vi rimangono e più si ammorbidiscono, a parere personale migliorando il risultato finale).
3)Lavate e tagliate i pomodori ciliegino in 4 e mescolateli alle olive.
4)Sciacquate e strizzate gli spaghetti in modo da togliere il gusto di limone e uniteli ai pomodorini ed alle olive, aggiungete un filo d'olio, regolate di sale e impiattate.

Buon Appetito!


giovedì 8 gennaio 2015

PRINCIPALI NUTRIENTI DEI GERMOGLI

Ecco una tabella con i principali nutrienti presenti nei germogli; il fatto che un determinato nutriente non sia segnato su alcuni germogli non ne signifa necessariamente l'assenza, ma semplicemente il fatto che vi sono maggiormente presenti altri elementi. La dose giornaliera di germogli consigliata è di circa 2-3 cucchiai per gli adulti e 1-2 cucchiaini per i bambini.


mercoledì 7 gennaio 2015

L'ESPLOSIONE DELLA VITA: I GERMOGLI

Sin dall'antichità, i germogli sono stati utilizzati dalle popolazioni come alimenti energizzanti e salutari; sono giunte sino ai giorni nostri le testimonianze di antichi testi orientali sul loro utilizzo "integrativo", così come fu fatto dai romani e successivamente da missionari, naviganti ed esploratori, proprio in virtù non solo del loro apporto nutrizionale, ma anche della loro semplice e comoda trasportabilità. Era infatti molto semplice conservare questi semi "inerti" per poi farli germogliare e cibarsene all'occorrenza, e grazie a questo alimento si combattè lo scorbuto (dovuto a deficienza di vitamina C) cui erano soggetti militari e marinai nelle lunghe campagne che dovevano affrontare. Per fare un semplice esempio della loro resistenza e conservazione, pare che alcuni semi ritrovati nelle tombe faraoniche si siano conservati intatti sino ai nostri giorni, dopo millenni, e siano riusciti a germinare; questo perchè il processo di germinazione si risveglia in presenza di determinati "ingredienti", quali: l'acqua, la temperatura, l'ossigeno e la luce.
La loro importanza si è persa nel tempo, perchè sostituiti da una mole di altre fonti alimentari, tuttavia la loro ricchezza di elementi fa si che, ancora ad oggi, una loro integrazione nella dieta possa portare numerosi benefici, perchè ricchissimi di vitamine, enzimi, proteine e minerali; rappresentano una buon alternativa in caso di difficoltà nel recuperare vegetali freschi e si prestano ad essere consumati crudi, mantenendo quindi intatto tutto il loro patrimonio nutrizionale.
Una volta staccatosi dalla pianta, infatti, il seme rimane in uno stato di inattività indeterminato, che nelle giuste condizioni ambientali può durare moltissimo (anche millenni, come abbiamo visto prima), pronto a generare a sua volta una nuova pianta non appena possibile; la germinazione avviene quando il seme si trova in ambiente favorevole, con a disposizione acqua, la giusta temperatura, ossigeno e, a seconda della tipologia di vegetale, luce. L'acqua è il primo fattore, l'attivatore, perchè è grazie al suo assorbimento che gli enzimi si risvegliano ed avviano le trasformazioni chimiche che favoriscono lo sviluppo del germoglio; nel giusto intervallo di temperatura (che varia a seconda della pianta tra i 20 e i 28 gradi) il seme quindi inizia a germinare, in presenza anche di ossigeno, e tale processo lo pre-digerisce, rendendolo più facilmente assimilabile anche per il nostro organismo. La luce, in ultimo, permette la fotosintesi e regala ai germogli un ricchissimo contenuto di clorofilla. Questa trasformazione moltiplica le sostanze nutritive del seme, che si incrementa ed arricchisce di molti elementi indispensabili al nostro organismo, quali: proteine, sotto forma di amminoacidi essenziali; vitamine, in quantità superiore a quello della pianta adulta; sali minerali, maggiormente biodisponibili; clorofilla, che ha un effetto positivo sul nostro sistema vascolare; enzimi, indispensabili al corretto funzionamento del nostro organismo.
Bisogna ricordarsi comunque che, come abbiamo visto nei precedenti articoli, per mantenere queste fantastiche proprietà benefiche, i germogli vanno consumati crudi.
Si tratta quindi di prodotti alimentari ricchi di nutrienti, tuttavia è sconsigliabile assumerne un quantitativo molto elevato, in quanto alcuni loro elementi positivi in concentrazioni troppo alte possono causare controindicazioni: l'acido fitico, in dosi elevate, può ridurre l'assorbimento di minerali quali zinco, ferro, calcio e magnesio; le lectine, presenti in alta concentazione nei fagioli (fasina), in elevate quantità causano la coagulazione sanguigna, con rischi emorragici intestinali (la cottura le elimina perchè sono termolabili). Sono altresì ricchi di fitoestrogeni (soprattutto la soia), che nelle giuste quantità hanno effetti anticancerogeni ed aiutano a mantenere un corretto equilibrio ormonale, soprattutto per le donne, aiutando anche a mitigare gli effetti della menopausa; tuttavia, una concentrazione troppo elevata può interferire con le funzioni tiroidee. Infine, sono assolutamente da evitare i germogli delle solanacee, perchè si arricchiscono ulteriormente della sostanza tossica che li nomina (solanina).


domenica 4 gennaio 2015

CRUDO O S-COTTO SECONDO ROUND: LEUCOCITOSI, UTILITA' E MODALITA'

La leucocitosi digestiva è una reazione immunitaria che si sviluppa in seguito all'assunzione di un cibo cotto; di conseguenza a tale azione il corpo risponde aumentando il numero dei globuli bianchi, come se dovesse affrontare un pericolo esterno. Dopo aver ingerito alimenti cotti, nell'arco di circa 30 minuti e per un tempo variabile fino a 2-3 ore, il nostro organismo crea un picco leucocitario che invece, se ingeriamo cibi crudi o poco cotti (a temperature molto basse, stimate tra gli 87° e i 97° a seconda dell'alimento) e li mastichiamo con cura, è completamente assente. Questo processo, ritenuto fisiologico, in realtà ci mostra che il corpo considera e reagisce al cibo cotto come se dovesse debellare un infezione; tale fenomeno assume caratteristiche simil-leucemiche transitorie, e viste le noste abitudini alimentari, che portano all'assunzione di alimenti cotti o stra-cotti anche per 3 o più volte al giorno, è legittimo ipotizzare che possano creare problematiche nel lungo periodo (come ipotizzato dal medico svizzero P. KOUCHAKOFF).
La combinazione di alimenti crudi e cotti, secondo le giuste modalità, può ridurre o addirittura eliminare, in certe condizioni, il sopravvenire della leucocitosi post-prandiale.
Sinora abbiamo visto che la cottura presenta numerosi svantaggi (soprattutto se fatta senza criterio), quindi perchè ci ostiniamo a consumare cibi cotti? Benchè sia una pratica principalmente dannosa, questa viene largamente utilizzata per ragioni organolettiche, di commestibilità ed igieniche; ad esempio i legumi se non cotti (o germinati) contengono molti fattori antinutrizionali e tossici, così come le solanacee (pomodori e peperoni verdi, melanzane, patate) contengono la solanina, un pesticida naturale, che benchè non degradi sino ai 240° è idrosolubile, quindi si diluisce parzialmente nell'acqua. Spesso durante la cottura si formano sostanze aromatiche, come avviene ad esempio nei prodotti da forno, che ne aumentano l'appetibilità; inoltre, aiuta ad abbattere la carica microbica degli alimenti, rendendoli in determinate circostanze meno pericolosi che da crudi. Come abbiamo visto nell'articolo precedente, anche gli enzimi ne vengono distrutti, rendendo gli alimenti più facilmente conservabili, perchè blocca i loro processi di deperimento.
Oltre alle variazioni biologiche che la cottura produce sui legumi, eliminando degli aspetti altrimenti negativi nella loro assunzione, tale pratica produce anche altre variazioni che in certi casi possiamo sfruttare, ad esempio: nei pomodori attiva il licopene, un enzima anticancerogeno, mentre nelle patate, la cottura aumenta la digeribilità e ne abbassa l'impatto glicemico; i cereali, se non germogliati, non si possono consumare crudi, e la lessatura se ben fatta permette di fruire di tutto il loro valore nutrizionale, anche gli spinaci, se cotti, perdono vitamine e folati ma liberano vitamina A e carotenoidi (poco sensibili alla cottura).
Appurato tutto questo, consci del fatto che dovremmo mangiare il più possibile alimenti crudi, e pochi semi-cotti, analizziamo i diversi tipi di cottura, che sono: bollitura, cottura al vapore, cottura in pentola a pressione, cottura al forno, cottura al microonde, cottura alla griglia e alla piastra e frittura, per verificare il loro impatto sui valori nutrizionali del cibo.
La BOLLITURA si distingue innanzi tutto nel quantitativo di acqua utilizzata, ovvero se ad immersione totale o parziale dell'alimento; è adatta soprattutto per la preparazione dei cereali e dei legumi, per i quali (legumi) tuttavia è bene utilizzare una quantità di acqua contenuta per permetterne il riassorbimento in cottura, in modo da reintegrare i principi nutrizionali idrosolubili. Tra i vari metodi di preparazione risulta quello con la massima perdita di nutrienti, in quanto benchè la temperature sviluppata non sia accessiva, è sufficiente per la distruzione della maggior parte delle vitamine termolabili, e la presenza di molta acqua fa si che buona parte dei nutrienti sopravvissuti si disciolgano in essa, arrivando a perdere sino all'80% di determinati nutrienti (vitamina C in primis). Un modo per limitare questo inconveniente è quello di riutilizzare l'acqua di cottura, ad esempio per un brodo.
La COTTURA AL VAPORE può essere incoronata, probabilmente, come il miglior compromesso in assoluto, in quanto più facilmente contenibile in gradazione (prevenendo la leucocitosi e parzialmente la termolisi vitaminica) e, evitando il contatto diretto con il liquido di cottura, elimina la problematica dell'idrolisi. Può essere fatta anche in pentola a pressione, ma in tal caso si punta al guadagno in tempistica, riducendo la perdita dovuta ai tempi di cottura maggiori, a discapito però della temperatura, provocandone un innalzamento che produrrà la famigerata leucocitosi digestiva e il rischio di ulteriori modificazioni termiche.
La COTTURA IN PENTOLA A PRESSIONE è la migliore per ritenzione vitaminica, in quanto l'accorciamento dei tempi di cottura dovuto alla temperatura maggiore fa si che si abbia una perdita inferiore, soprattutto per quanto concerne la vitamina C, la più delicata. In generale, la riduzione dei tempi di cottura aiuta nel contrastare la degradazione nutrizionale data dai tempi di cottura più prolungati degli altri metodi.
La COTTURA AL FORNO crea una patina esterna all'alimento che da il via al processo di carbonizzazione superficiale, con la formazione di composti tossici; per questo motivo è utile abbassare la temperatura appena compare la "crosticina" e continuare ad inumidire l'alimento, in modo da contenere lo sviluppo di queste sostanze. L'aspetto positivo di questo metodo è che tale patina previene la fuoriuscita dei nutrienti, lasciando al degenero solo le vitamine più termolabili (quelle del gruppo B in particolare), ma mantiene tutte le problematiche della cottura ad elevata temperatura.
La COTTURA AL MICROONDE porta ad una perdita di nutrienti direttamente proporzionale a tempi e temperature di cottura; inoltre, diversi studi mettono in guardia dagli effetti della cottura a microonde sugli alimenti, sia per la formazione di composti radiolitici (dalle possibili caratteristiche tossiche) che per la mancanza di omogeneità nella cottura (mancanza di distuzione microbica a discapito della distruzione nutrizionale ed enzimatica).
La COTTURA ALLA GRIGLIA è un metodo ad alto rischio per diverse ragioni, quali il controllo della temperatura e la formazione di bruciature localizzate; con questa tipologia di cottura si sviluppano sempre acrilamide e gli idrocarburi policiclici aromatici, tutte sostanze tossiche e cancerogene. Meglio la cottura alla piastra che aiuta ad avere un maggior controllo ed evitare le carbonizzazioni.
Il problema dell'acrilamide non riguarda purtroppo solo la cottura alla griglia, ma anche quella alla piastra, al forno e la frittura, in quanto si sviluppa ad una temperatura superiore ai 120°, raggiunta da tutti questi metodi di cottura.
La FRITTURA è un metodo di cottura molto delicato, in quanto bisogna stare attenti a non raggiungere il punto di fumo del grasso utilizzato; inoltre le temperature di esercizio, superiori ai 150°, fanno si che tutte le problematiche termiche si presentino. Per assurdo, non essendo la vitamina C liposolubile, questo metodo di cottura la preserva maggiormente della bollitura...

In conclusione, abbiamo un grande ventaglio di opzioni disponibili per cercare di migliorare e coniugare le nostre usanze e preferenze alimentari con quelle più salutari; la nostra alimentazione dovrebbe essere composta in percentuale maggiore da alimenti crudi piuttosto che cotti (almeno per i 2/3), ed è questo l'obiettivo da perseguire, per il benessere del nostro corpo e non solo.


sabato 3 gennaio 2015

CRUDO O S-COTTO? I NUTRIENTI

E' risaputo che gli alimenti crudi, nella quasi totalità dei casi, sono migliori di quelli cotti; sicuramente la nostra fisiologia, quando è stata progettata, non prevedeva un'alimentazione "artificiosa" come quella odierna, ma un'alimentazione più "naturale" simile a quella di tutti gli altri animali del globo.
Ciò nondimeno, le nostre abitudini, l'apertura del nostro panorama alimentare a cibi quali legumi, cereali e derivati animali, la necessità di adattamento (ad habitat inospitali principalmente), oltre all'accostarsi dell'arte alla pratica culinaria, hanno fatto si che sia ormai, concettualmente, "normale" alimentarsi di cibi cotti ed elaborati. Esaltando i cibi crudi, senza demonizzare quelli cotti, quali accorgimenti possiamo utilizzare per migliorare il nostro apporto nutrizionale e la nostra "efficienza alimentare"?
Per cominciare, analizziamo cosa si perde nel processo di cottura del cibo: qualunque metodo di cottura, per blando che sia, in primis ha un effetto devastante sugli ENZIMI degli alimenti, che sono principalmente adibiti alla digestione degli stessi (si perdono intorno ai 50°C ); va da se quindi che, eliminando gli enzimi che digeriscono quell'alimento, automaticamente il nostro organismo dovrà impegnarsi maggiormente per riprodurre al suo interno la stessa funzione senza la loro introduzione (che invece avverrebbe col cibo crudo).
Le PROTEINE intorno ai 60° C si trasformano (denaturazione delle proteine), perdendo la loro forma originaria, il che significa perdere la loro funzione biologica (inattiva gli enzimi) e diventare però più sensibili agli enzimi digestivi; in tal modo acquisiscono una maggiore digeribilità, tuttavia una cottura prolungata a temperature superiori finisce con l'ottenere l'effetto contrario, ovvero genera degli agglomerati indigestibili per l'organismo.
I LIPIDI con la cottura e l'ossigeno dell'aria si possono scindere in acidi grassi e glicerina, che in parte si trasforma in acroleina, una sostanza altamente tossica (questo processo avviene al raggiungimento del "punto di fumo"), il grasso col miglior punto di fumo è l'olio EVO; questo processo inficia anche la vitamine liposolubili (vitamina A, vitamina D, vitamina E, vitamina K, vitamina "F" o acidi grassi essenziali (AGE)).
I CARBOIDRATI reagiscono in maniere diverse; gli amidi con la cottura ad alte temperature si dividono in molecole più piccole, dette destrine, più facilmente digeribili, ma sviluppano così più facilmente sostanze tossiche e cancerogene come l'acrilamide; se cotti in acqua, invece, si legano a quest'ultima sviluppando un composto colloso che si può contrastare aggiungendo degli acidi, come il succo di limone o l'aceto. Gli zuccheri semplici riescono a mantenere buona parte delle loro caratteristiche a meno che non vengano cotti a secco, nel qual caso rischiano il processo di caramellizazione che porta con se gli stessi svantaggi degli amidi cotti a secco. Purtroppo i buoni profumi dei prodotti da forno sono accompagnati dal maggior rischio di rilascio di sostanze tossiche.
Le VITAMINE sono tra gli elementi che patiscono maggiormente la cottura, subendo una perdita che può facilmente superare il 50% del loro quantitativo originale, questo vale soprattutto per le vitamine termolabili ed idrosolubili; le vitamine liposolubili sono infatti più resistenti al calore, ma questo non significa che riescano a passare in maniera indolore il processo di cottura, soprattutto se ad elevate temperature e prolungato nel tempo. Le vitamine sono inoltre spesso sensibili nei confronti dell'ossigeno e della luce, così come lo sono nei confronti di sostanze acidificanti o alcalinizzanti. Quelle idrosolubili, infine, oltre alle problematiche generiche, patiscono molto la cottura a contatto con l'acqua, perchè vi si disciolgono impoverendosi ulteriormente; in particolare la vitamina C e la vitamina B1 sono le più instabili, ma anche la B9 (acido folico) è molto sensibile alla cottura, al contrario B2, B6 e B12 sono maggiormente resistenti.
Per esempio, la quantità di vitamina C ad una temperatura di 100 gradi si dimezza nel giro di un solo minuto (il tempo raddoppia ad una temperatura di circa 70°), difatti un metodo spesso utilizzato per cercare di reintegrare questa perdita dopo la cottura è quello di condire con del succo di limone. Un'altro accorgimento utile è quello di cuocere i cibi integri, ovvero di non sbucciarli o sminuzzarli prima ma dopo la cottura, così facendo la "buccia" agisce in qualche modo da scudo.
I SALI MINERALI non vengono danneggiati dalla cottura, ma sono molto sensibili al discioglimento nei liquidi; per ovviare a questo problema è meglio cuocere con poca acqua o riutilizzare l'acqua di cottura, oltre allo stratagemma adottato anche con le vitamine di mantenere la buccia integra. Anche se la perdita di minerali è minima, il processo di cottura può variarne la biodisponibilità per il nostro organismo, ottenendo così una perdita nutrizionale intrinseca.

Adesso che abbiamo scoperto gli effetti che la cottura ha sui nutrienti, nel prossimo articolo andremo a vedere i casi specifici dove la cottura ha un suo ruolo funzionale e le metodologie attraverso le quali "limitare" i danni, oltre alla problematica della leucocitosi digestiva.